Killer is Dead è un viaggio psichedelico nei deliri di Goichi Suda, una liturgia ludica che celebra il lato più caotico e perverso del peculiare game design partorito dal mentore di Grasshopper Manufacture. Sebbene la direzione esecutiva del progetto sia cambiata in corsa, passando dallo stesso Suda al poco più che esordiente Shin Hideyuki, il gioco risente profondamente dell’influenza del visionario designer di Nagano e si distacca in maniera piuttosto radicale dalle recenti produzioni griffate Grasshopper.

Prese le distanze dalla divertita exploitation gotica di Shadows of the Damned (recensito qui) o dall’acuto citazionismo pop-culturale di Lollipop Chainsaw (esaminato qui e qui), Killer is Dead imbocca un percorso labirintico che si riallaccia alle primissime opere del team di sviluppo nipponico,  rievocando atmosfere e suggestioni  analoghe a quelle di un Killer7 o di un Michigan: Report from Hell , senza contare qualche riferimento piuttosto esplicito a Flower, Sun And Rain
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Troviamo sintetizzati in un unico testo ermetico tutti quegli elementi simbolici e archetipici che sono ricorrenti nella poetica di Suda e che presentano come leitmotiv il concetto di dualismo. Sullo sfondo di una presentazione estetica stilosa, tratteggiata attraverso una grafica in cel-shading dall’esprit quasi futurista, si fondono insieme, come in un’orgia visivo-concettuale, la dicotomia tra bianco e nero, tra uomo e donna, tra sogno e realtà, tra eros e thanatos, tra il lato luminescente e quello oscuro della Luna, utilizzata ancora una volta (dopo Killer7) come metafora della psiche umana, in bilico costante tra gli stimoli del conscio e del subconscio.

Il tutto è tenuto insieme da una trama surreale, votata a spiazzare con sadismo l’utente attraverso bordate di metareferenzialità che rompono la quarta parete ed elementi narrativi sfacciatamente carichi di nonsense, capaci di annullare la sospensione dell’incredulità.

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Risulta impossibile approcciare l’avventura in maniera razionale e le difficoltà insormontabili in cui si incorre nel tentativo di dare un senso logico alla progressione degli eventi costituiscono un incentivo a vivere l’esperienza a livello puramente emozionale. Ed è proprio così che il gioco esprime tutto il suo potenziale comunicativo.

A prima vista, Killer is Dead pare una sorta di versione weird dell’anime Cowboy Bepop e s’incentra sulle avventure/disavventure del cacciatore di taglie Mondo Zappa, intento a soddisfare le richieste di assurdi committenti. Scivolando oltre le apparenze, però, il gioco pennella un affresco vibrante del controverso rapporto tra uomo e donna, definendolo a colpi di ossimori e dicotomie. Si va dalle clienti di Mondo, rappresentate come emanazioni eteree di una femminilità brutalizzata dal materialismo maschile, alla particolare strutturazione della componente ludica vera e propria, che alterna morte ed eros, sezioni action votate all’omicidio e missioni di seduzione, in stile dating simulation.

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In questo mosaico, s’incastrano i tasselli che gradualmente definiscono il percorso interiore del protagonista, il cui passato è racchiuso nel nucleo di una matroska onirica. Quest’ultima si apre strato dopo strato, suggerendo attraverso visioni quasi lynchiane la presenza logorante di un sanguinoso ‘peccato originale’, avvenuto durante l’infanzia del personaggio (e, non a caso, l’acronimo di Killer is Dead è KID, come kid, bambino).

Il combattuto percorso introspettivo di Mondo culminerà con uno scontro epifanico, capace di chiudere un cerchio, disegnando un ideale ouroboros, che, al pari di un diadema, incorona la donna quale motore primo della vita dell’uomo. In tal senso, Grasshopper si riconferma ancora una volta come un moderno poeta pulp dell’amore, anche se, mai prima d’ora, gli sviluppatori avevano trattato questo tema in maniera tanto cupa e a tratti drammatica.

Ciononostante, non mancano le trovate bizzarre, né gli autoironici ammiccamenti voyeuristi che caratterizzano la cifra stilistica del team di Suda. L’occhio del giocatore si sgranerà divertito davanti a seducenti motocicliste in grado di sfoderare sedici braccia armate di pistole, come in una figurazione postmoderna della dea Benten, compositori viennesi à la Mozart che si trasformano in cyber-zombie assassini, yakuza in grado di materializzare i propri tatuaggi irezumi per evocare bestie feroci oppure treni senzienti e con uno scheletrico volto umanoide, che sembrano usciti da una versione horror di Thomas and Friends.

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Sotto il profilo prettamente ludico, Killer is Dead può essere definito come il gioco dal gameplay più tecnico tra quelli prodotti sinora da Grasshopper. Il combat system evolve la struttura dei due No More Heroes incamerando e rielaborando elementi provenienti dalla crema della contemporanea produzione action, come Metal Gear Rising: Revengeance. Il tutto si risolve in un combattimento all’arma bianca che compensa l’assenza del salto con un’attenzione particolare rivolta alle parate e alle schivate, le quali costituiscono la chiave di volta dell’azione. Se correttamente eseguite, queste manovre difensive permettono di attivare diversi tipi di contrattacchi, che, a loro volta, consentono di concertare gli scontri nella maniera maggiormente varia e produttiva, incrementando a dismisura il contatore di combo, attivando esecuzioni spettacolari e permettendo di acquisire bonus più ricchi, essenziali per potenziare il personaggio.

La presenza contemporanea di un’arma da fuoco, costituita dal braccio sinistro biomeccanico di Mondo, il Musselback, conferisce ulteriore spessore tattico alla mattanza. Disponibile in quattro varianti diverse, che possono essere alternate in ogni momento, il Musselback è una risorsa versatile e tutt’altro che secondaria, da integrare sapientemente nell’azione al fine di rallentare i nemici, eliminare selettivamente determinati avversari o risolvere puzzle ambientali.

In definitiva, Killer is Dead segna il ritorno di quel graffiante approccio alla comunicazione videoludica che ha trasformato Suda in un autore di culto e, allo stesso tempo, infarcisce estetica e significati con un ripieno di gameplay capace di divertire anche i giocatori più esigenti. Un’esperienza impegnativa su vari livelli, ma, proprio per questo, assai gratificante nella sua totalità.



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Piero Ciccioli

Coniuga da anni la sua professione di ricercatore scientifico a quella di articolista e saggista specializzato in videogiochi, cinema d’exploitation, horror, fumetti e nei più disparati prodotti di entertainment d’origine nipponica. Nutre una viscerale predilezione per tutto ciò che è weird e sogna di radere al suolo una riproduzione in cartapesta di Tokyo, vestito da Godzilla.

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